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Sei in: Saggi critici | Georgio Seveso
Le musiche della geometria
Parafrasando una nota sentenza si potrebbe parlare,per il lavoro
di Gianfranco De Palos, di un qualche ésprit de geometrie, che si
sia lentamente tradotto in un "ésprit" musicale, o musicofilo
nel quale l'artista romano - ma ormai milanese adottivo - ha
calato il fascino del suo talento per le forme geometriche.
Si tratta di un talento assai autonomo e singolare in una situazione
d'arte come quella d'oggi in cui, come è noto, sembrano prevalere
indicazioni di ben altro segno e misura, nel generale ed opportunistico
adeguamento "post moderno" ad una pittura disordinata, sciatta,
approssimativa e, tutto sommato, noiosamente volgare.
Ma De Palos non si cura certo di apparire "aggiornato" o alla moda.
Le sue scelte espressive, difatti, non sono di tutta evidenza giocate sul
mero piano del gusto, ma obbediscono al contrario al segno di una
maturazione meditatata ed assorta, cioè all'ambiente di un "progetto"
complessivo insieme intellettuale ed emotivo che l'artista da sempre porta
avanti senza esitazioni o fratture.
Esse, dunque, sono indifferenti agli orientamenti prevalenti e,
controcorrente si collocano in una dimensione di totale libertà e autonomia.
Proprio quella dimensione - dicevo - che si potrebbe chiamare di geometria
musicale, o di musica della geometria.De Palos difatti concilia nelle sue
ricerche - che siano i dipinti su tela, i disegni e le grafiche o le
piccole sculture e la medaglistica in cui eccelle - un temperamento di
assorta ma palpitante liricità con la grande tradizione europea
dell'astrattismo geometrico, da Mondrian e dai costruttivisti russi,
per intenderci, fino ai nostri Radice, ai Soldati, ai Dorazio di oggi
e simili. E, appunto, ciò avviene all'interno di un impasto che appare
singolare, direi quasi inedito, tra due ordini di sensibilità
apparentemente inconciliabili come sono il lirismo del ritmo musicale
e la forma tutto sommato chiusa e sorda della razionalità geometrica.
E certo,un pò come avveniva per Klee, non è soltanto il fluire di
un ritmo a caratterizzare queste immagini, cioè non sono solo le scansioni,
le pause, i tempi, i legati e gli staccati che si accampano nell'enunciazione
dei segni e dei colori sulla superficie o dei vuoti e dei pieni
nei bronzetti o nelle ceramiche, a conferire loro la musicalità di cui si
diceva. C'è anche, e forse soprattutto, una vera e propria "visibilità"
melodica. Qualcosa che proprio richiama, magari per linee interne, la scrittura
della musica sul pentagramma, il sapore visuale delle crome e delle
biscrome, degli accidenti, delle chiavi, dei bemolle e dei diesis, dei
grappoli di note saltellanti che si sgranano sulla pagina di un testo
musicale. Sarà perchè De Palos ha effettivamente studiato a lungo in
conservatorio, prima a Roma e poi presso la civica scuola di musica
Donizetti di Sesto San Giovanni, ma le sue immagini e le sue forme introducono
l'osservatore non frettoloso in un ambiente in cui pare quasi di poter
"leggere" i segni, decifrarne la consistenza tattile ma anche le relazioni
di grandezza, distanza e altezza che intercorrono tra loro; e dunque di
poterle, queste stesse immagini non solo guardarle ma anche "cantarle",
interpretarle, modularle nel segreto del proprio cuore e della propria sensibilità.
Le immagini di De Palos - dicevo - sono dunque bastanti a se stesse,concluse
e autonome nelle loro pure dimensioni di segno, d'insieme di segnali finiti
all'interno del rapporto che stabiliscono tra loro,ma giungono sempre, però,
per misteriose vie della percezione, a richiamare la nostra sensibilità
attivando misteriosi, sepolti codici di riconoscimento, meccanismi di
"simpatia" visiva che entrano in risonanza con il riguardante per ritmi
di volta in volta concitati o distesi, lineari o ondulatori, caldi o freddi.
Sull'onda, appunto, di una sorta di musica silenziosa, che rimanda su di sé
ogni sua ragione e vibrazione.
Che fare, dunque, di fronte a queste sue tracce, a queste piccole sculture,
a questa sua segnaletica inferiore della sensibilità?
Occore abbandonarsi in piena disponibilità al suo fluire, ai suoi ritmi segreti.
Leggerla come appunto si legge uno spartito che non rimandi ad alcuna convenzione
musicale preesistente e che si affidi puramente all'intuizione, alle ragioni
prelogiche dell'attenzione estetica senz'altra ambizione che quella di mostrarsi nel suo suggestivo silezio. Se Paul Klee aveva ragione quando scriveva che
l'arte non ripete le cose visibili, ma rende visibili cose invisibili, allora
in questi segni di De Palos possiamo davvero avvertire l'eco di un intimo
concerto di sensazioni e di sentimenti: la libera, pura poesia del segno.
Georgio Seveso
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