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Sei in: Saggi critici | Vincenzo Guarracino
Costellazioni di forme segmentate, sottili e flautate, che nascono dal silenzio, atomi pulsanti di luce che aspirano alla ricomposizione in una felicità delle forme oltre il visibile, come umbrae virgiliane o bruniane, le opere di Gianfranco De Palos: una fuga oltre il pozzo oscuro e amniotico dell’irrazionale, in una ricerca interminabile e ininterrotta, di ritmo e di armonia, affrancata da ogni grevità oggettuale, in un altrove assorto e palpitante di bellezza, in cui protagonisti non sono più fatti e forme del vissuto bensì un’eterna nostalgia di luce, il silenzio tra le cose e le parole.
Forme che vivono per via di emozione, dunque, appagate dal loro esistere, dal loro incessante clinamen, senz’altro desiderio se non di affrancarsi dal gesto, da una gratuità segnica ed estetica fine a stessa, in virtù di un amore inscritto nel segno della meraviglia e della poesia, ben oltre i dettami della loro matrice concretista e costruttivista: è questo cui tende il “progetto” di De Palos, trasformando le sue scelte espressive (la pittura, la scultura, ma anche la musica) in progressive conquiste di una vertigine metafisica, di una visione elementare, che è il linguaggio e la grammatica stessa della vita nelle sue interazioni con l’ambiente ed è in questa chiave che interpella la nostra sensibilità di spettatori.
Non è una semplice attività combinatoria, quella che le muove, ottenuta per accumulo, semplicemente giustapponendo delle segmentazioni uniformali in una fredda e progressiva strategia di accumulazioni, secondo un andamento parallelo, obliquo, oppure ortogonale. Le forme di De Palos non sono iterative: vivono cellularmente, ognuna di vita propria, accampate che siano sulla tela, sulla carta, nel legno delle sue sculture, nelle terre cotte delle sue ceramiche o sul metallo delle sue medaglie, su superfici insomma irregolari, non assoggettate ad altra logica che non sia quella di somigliare a se stesse. Vivono di un’energia pulviscolare che contempla in egual modo l’alterazione, la crescita e la decrescita, la generazione e la corruzione dei movimenti qualitativi, quale che sia il supporto che le comprende e talora le genera e motiva.
È così che si caricano di un’aura felice e fiabesca, che vira a seconda dei ritmi cardiaci dell’immaginazione dell’artista, in superfici anomale e asimmetriche, imprevedibili, pur nella loro modularità, con propagazioni e riflessioni del movimento ritmico secondo schemi ondulatori espansivi per cui ogni sequenza cromatica appare percorsa da serie multiple di vibrazioni armoniche, espressioni di una necessità che converte linee e colori nel linguaggio di un’inconoscibile verità.
Vincenzo Guarracino
ottobre 2009
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